giovedì, Dicembre 12LEGA DEL CANE - SEZIONE DI CARBONIA
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Maltrattamento animali, abbandonarli o non curarli è reato. Anche per i circhi

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Detenere 23 cani in 5 gabbie di soli 8 mq., e altri 6 cani all’esterno, con catena, in un ambiente con condizioni igienico sanitarie “scarsamente sufficienti e non idonee a tenere quel numero” di animali integra il reato di cui al comma 2 dell’art.727 del codice penale sull’abbandono di animali, il quale prevede l’arresto fino ad un anno o l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro per chi “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”

Lo ha stabilito di recente (sentenza della terza sezione, n. 23723/16 del 12 aprile 2016) la Cassazione ricordando che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica degli stessi, procurando loro dolore e afflizione; quali, appunto, tenerne “taluni e numerosi in un ambito molto angusto ed in condizioni igienico-sanitarie non adeguate, e talaltri addirittura in catene”.

Del resto, già nel 2015, la stessa Cassazione aveva ritenuto integrato il reato nel caso di un cane “dimenticato” per ore nell’auto chiusa a luglio sotto il sole rovente; e ancora, in un caso in cui un cavallo veniva custodito “in vano seminterrato angusto, alto meno di due metri e pieno di escrementi, tale da costringerlo a stare con la testa ed il collo continuamente abbassati e a limitarne la possibilità di movimento”. E sin dal 2004 aveva ritenuto integrato il reato da chi “detiene per la vendita uccelli appartenenti alla fauna selvatica — gufi reali — mantenendoli in stato di sostanziale denutrizione e in un ambiente angusto tale da provocare la recisione traumatica della parte esterna delle ali”; oppure “vantando la proprietà di un cane, lo prelevi dal luogo ove esso si trova e, dopo averlo rinchiuso nel bagagliaio della propria auto di piccole dimensioni, lo trasporti per un apprezzabile lasso di tempo, da un luogo ad un altro, ciò in quanto la restrizione del cane in un ambiente inidoneo benché non accompagnata dalla volontà di infierire su esso, incide sulla sensibilità dell’animale provocandogli un’inutile sofferenza”.

Vale la pena di aggiungere che, secondo la giurisprudenza, il reato ricorre anche nel caso di circhi. Nel 2014, infatti, il tribunale di Tivoli ha stabilito l’esistenza del reato nel caso di un circo che “si caratterizzava per la presenza di un gruppo di tir all’interno dei quali erano predisposte le gabbie per il trasporto e la permanenza di diversi animali, tra cui un leone marino, aquile e alligatori. La struttura del circo era tale per cui l’esposizione degli animali, o almeno di parte di essi, durante gli spettacoli avveniva negli stessi automezzi utilizzati per il trasporto. Di conseguenza gli animali venivano costretti a vivere, in assenza di luce, nelle anguste gabbie utilizzate per il trasporto, di dimensioni tali da impedire anche il minimo movimento; gli uccelli, in particolare, non potevano distendere le ali; il leone marino non era in grado di nuotare e l’alligatore viveva in uno stato di assoluta impossibilità di movimento. Nella zona in cui il circo era posizionato al momento del controllo, d’altra parte, non si riscontrava la presenza di alcuna adeguata struttura alternativa deputata alla permanenza degli animali”.

IMG_9615[1]Altrettanto importante – e anzi, di stretta attualità in questo periodo di inizio estate – è il primo comma dell’art. 727 c.p. che punisce con la stessa pena (arresto fino a un anno o ammenda da 1.000 a 10.000 euro) “chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività”; dove l’abbandono non va considerato solo come mero distacco dall’animale. Secondo la Cassazione, infatti, la nozione di abbandono va intesa “non solo come precisa volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l’animale, ma di non prendersene più cura, ben consapevole della incapacità dell’animale di non poter più provvedere a se stesso come quando era affidato alle cure del proprio padrone.”

Gianfranco Amendola


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