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Covid-19 e bracconaggio

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Abbiamo già parlato di come gli animali si siano ripresi il loro posto nel mondo grazie al lockdown. Le acque sono più pulite, le città deserte, l’aria meno inquinata, e la natura pian piano torna al proprio posto, come se l’essere umano non ci fosse mai stato. Ma questa quarantena a livello mondiale ha anche un rovescio della medaglia per gli stessi animali e, in alcune parti del mondo, sembra ci sia un infelice collegamento tra Covid-19 e bracconaggio.

Perché il Covid-19 favorisce il bracconaggio

Vittime indirette della pandemia da Coronavirus sono le tigri dell’India, ad esempio, i rinoceronti in Africa, ma nemmeno gli uccelli in Europa sono al sicuro. L’idilliaco racconto della natura che si riappropria dei propri spazi in un mondo libero dagli esseri umani, che si ritrovano chiusi nelle loro gabbie domestiche, non è poi così veritiero. Molte associazioni, infatti, denunciano un sostanziale aumento delle attività di bracconaggio in tutto il mondo. Ma perché il Covid-19 favorisce il bracconaggio?

Covid-19 e bracconaggio
Le attività di bracconaggio sono aumentate per colpa del lockdown

La quarantena ha messo in ginocchio l’economia, specialmente quella delle zone rurali del mondo, dove le attività economiche erano alla base per la sopravvivenza degli abitanti. In molte zone del mondo i cittadini rimasti senza lavoro non hanno potuto nemmeno contare sul supporto economico dello stato e, laddove l’aiuto è arrivato, non è stato sufficiente.

Anche una sola settimana di lockdown può mettere in ginocchio migliaia di persone in contesti come questi. In quelle zone dove il bracconaggio già esisteva esso è aumentato, perché sono aumentati i bracconieri. Persone che non si erano mai affacciati a questa attività illegale ma che messe in ginocchio non hanno trovato altre soluzioni.

Le attività di bracconaggio durante il lockdown

Nelle settimane di lockdown le associazioni hanno registrato un importante incremento delle attività di bracconaggio. Nel Chhep Wildlife Sanctuary sono stati uccisi tre ibis giganti, che corrispondevano all’1% dell’intera popolazione rimasta, e 100 pulcini di tantalo variopinto.

La cosa incredibile è che, secondo la Wildlife Conservation Society, che ne ha denunciato l’uccisione, questi animali non sono stati vittime di tratte illegali, ma sono stati uccisi proprio per la loro carne. Tale carne è stata poi consumata dagli abitanti locali, macchiatosi del crimine di aver braccato specie a rischio estinzione, o venduta sul mercato nero.

Le tigri dell'India
In India a essere in pericolo sono le tigri

In India, invece, ad essere in pericolo sono le tigri, già vittime di bracconieri hanno visto, in queste ultime settimane, aumentati i loro predatori. In Africa a preoccupare è la situazione dei rinoceronti. La specie, già fortemente a rischio estinzione, ha perso sei esemplari in Botswana e nove in Sud africa, a causa dei bracconieri.

Ma se pensate che queste sono cose che succedono nel terzo mondo vi sbagliate. Anche in Europa le attività di caccia illegale sono incredibilmente aumentate. E, alcuni cacciatori in Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, hanno ucciso 30 uccelli appartenenti a specie protette.

Chi protegge le aree naturali

Questa situazione ha portato le associazioni a porsi numerose domande. Al momento sono proprio quelle zone cuscinetto adiacenti alle aree naturali a proteggere quest’ultime. Sono gli stessi abitanti di quelle zone rurali a tenere lontani i bracconieri e a proteggere le specie a rischio.

Ma l’economia di quelle zone è appesa a un filo e in ogni momento potrebbe ripiombare nell’oblio, anche dopo la fine dell’emergenza da Coronavirus. E cosa succede se quelle persone vedono svanire tutto d’un tratto le loro uniche entrate e gli rimasse come unica risorsa lo sfruttamento delle aree naturali vicine?

Bisogna far di più per sostenere e tutelare le aree naturali protette di tutto il mondo e per farlo bisogna tutelare le zone rurali che convivono con la natura, che la rispettano e la proteggono, ma che sono incredibilmente fragili. Ed è proprio questa fragilità che rischia di mettere a repentaglio l’intero ecosistema.


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